Già nella prima puntata abbiamo sottolineato le contraddizioni e i sentimenti contrastanti che genera una città come Napoli ponendoci delle domande e cercando delle risposte.
Se c’è una zona di Napoli che più di altre incarna le sue contraddizioni, questa è senza dubbio il Rione Sanità.
Si trova ai piedi di Capodimonte a poca distanza dal centro storico e in epoca greco romana era il luogo destinato alle sepolture.
Si sviluppò urbanisticamente dal XVII secolo, a partire dalla costruzione della Basilica di Santa Maria della Sanità, diventando l’area prescelta da nobili e borghesi napoletani per le proprie dimore. Nel Settecento le sue strade diventarono il percorso della famiglia reale dal centro della città alla Reggia di Capodimonte. Il percorso risultava particolarmente tortuoso, per questo si ritenne necessaria la costruzione di un collegamento diretto, il Ponte della Sanità, seppure in questo modo si arrivò all’isolamento del quartiere.
Ecco una delle contraddizioni di cui accennavamo all’inizio della puntata.
Il Rione Sanità, un rione che risulta essere periferia nel centro di Napoli.

I lavori per il Corso Napoleone, il ponte che avrebbe unito la Reggia di Capodimonte e il centro di Napoli, cominciarono a inizio Ottocento con Giuseppe Bonaparte e continuarono con Gioacchino Murat.
Il risultato in termini di viabilità fu notevole, ma fu disastroso per il quartiere, che iniziò via via ad essere tagliato fuori dalla vita della città, pur essendoci vicina.
L’isolamento ha fatto sì che il quartiere vivesse sempre più per sé stesso, con pochi scambi con il resto di Napoli. Questo ha causato, nei casi più gravi, situazioni di degrado e criminalità che hanno portato alla sua ghettizzazione e al proliferare della camorra.
L’abbandono progressivo da parte degli abitanti del Rione Sanità ha causato un inversamente proporzionale aumento del degrado che ha coinvolto anche i suoi monumenti e i suoi edifici storici, lasciando in rovina luoghi come le Catacombe e la Basilica di San Gennaro Extra Moenia.


Dal degrado al recupero di un patrimonio immenso e nascosto, in un quartiere che da sempre mostra una propensione all’arte e alla creatività.
Nel 2000, l’arrivo del nuovo parroco della Basilica di Santa Maria della Sanità ha segnato l’inizio di un processo di riqualificazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico e umano del quartiere. Il parroco ha raccolto le idee lanciate dal suo predecessore, don Giuseppe Rassello, il quale sosteneva come la bellezza potesse far crescere le persone dando una notevole spinta all’occupazione.
L’idea, quindi, era di creare lavoro attraverso il recupero del patrimonio culturale e artistico del quartiere, grazie all’aiuto di professionisti e fondazioni bancarie. A differenza di altri quartieri di Napoli, quello che contraddistingue la Sanità è il suo potenziale, un valore aggiunto costituito da una storia che ha radici nell’antichità, oltre alla consapevolezza di possedere ricchezze tali da consentire promozione turistica e culturale. Insieme a questa ritrovata consapevolezza, un impulso importante è stata la creazione di una rete tra varie realtà del Terzo Settore già attive nel Rione, fattore che ha favorito la crescita socio-economica del territorio.
C’è una frase che ben identifica il quartiere: “la creazione si stiracchia ogni mattina mentre la tradizione le prepara la colazione e la trasformazione la aspetta in fondo al vicolo”. È citazione tratta dal libro “Noi del Rione Sanità”, un bel libro di don Antonio Loffredo edito da Mondadori.

Definire Rione Sanità un quartiere è riduttivo perché in realtà ne è il cuore autentico.
Qui è nato Totò, qui si è ispirato Eduardo De Filippo per tante commedie. Nei suoi vicoli convivono chiese barocche e case fatiscenti, palazzi nobiliari e i celeberrimi bassi scavati nel tufo. Tra gli attori di un palcoscenico come quello del Sanità, il suo parroco, don Antonio Loffredo, dimostra di essere molto più di una semplice comparsa, di un semplice prete.
È un uomo di chiesa, ma anche d’azione, coraggioso e ostinato come pochi.
Intorno a sé sa vedere non solo la povertà, ma le ricchezze nascoste di un Rione colmo di tesori d’arte e di cultura, lasciati però nell’abbandono.
Grazie a Don Antò è nata una sfida per nulla ordinaria: risvegliare le coscienze dei giovani nati e cresciuti su quelle strade per trasformare il Sanità in un polo d’attrazione per tutta Napoli e per i migliaia di turisti che giornalmente visitano la città, offrendo, grazie alle sue bellezze architettoniche, una possibilità di lavoro e di futuro. Grazie al suo contagioso entusiasmo Don Antò ha spronato i suoi ragazzi a organizzarsi in cooperative e, nonostante gli ostacoli burocratici, ottenendo successi importanti e insperati.
Ne è un esempio il recupero della basilica di San Gennaro Fuori le Mura, che negli anni, pur essendo ricca di inestimabili opere d’arte, era diventata un deposito della Asl locale.
Un altro esempio è l’apertura al pubblico delle catacombe di San Gennaro e San Gaudioso di cui vi parleremo tra poco.


Sono tanti i progetti realizzati in poco più di dieci anni di lavoro sul territorio. Ci piace l’idea di poter ricordare l’orchestra di bambini e ragazzi, Sanitansamble, la struttura d’accoglienza per mamme e bambini, L’Altra Casa, lo studio di registrazione Sanità Music Studio, il laboratorio creativo per la lavorazione dei metalli, Iron Angels; lo spazio doposcuola e la ludoteca La Casa dei Cristallini, oltre ad almeno 50 nuovi posti di lavoro tra guide turistiche, insegnanti di danza e teatro, tecnici, addetti alla manutenzione e altre professionalità legate al lavoro delle cooperative attive nel Rione.
A proposito di storie, attrazioni e guide turistiche: andiamo a scoprire cosa offre il cuore e la storia di Sanità. Le sue origini greco romane e la sua faccia sotterrenea.

C’è un antico mondo sotterraneo che si mescola con il presente diventandone motore della sua rinascita. Un mondo che appartiene alla storia di un luogo in cui affondano le radici di Napoli.
Nelle viscere del Rione Sanità, a pochi metri sotto il livello della strada, c’è quella che possiamo definire una vera e propria città sotterranea.
Le Catacombe di San Gennaro e di San Gaudioso e quelle di San Severo, sono una testimonianza delle origini del rapporto della città con la fede cristiana, veri e propri cimiteri sotterranei dove il sacro si unisce al profato, dove la cultura orientale incontra quella occidentale. Dopo anni di abbandono, nel 2006 le Catacombe sono state affidate a una bella realtà locale, la Cooperativa La Paranza, che in pochi anni ha permesso alle Catacombe di diventare una delle principali attrazioni di Napoli.

Le porte d’ingresso alle catacombe sono le Basiliche del Rione Sanità. La prima di cui vi parliamo è quella paleocristiana di San Gennaro Extra Moenia, che dopo anni di abbandono è tornata a offrire la sua bellezza austera ai visitatori delle catacombe e ai partecipanti dei tanti eventi che ospita.
Quella che però risulta essere il cuore stesso del Rione è la basilica barocca di Santa Maria della Sanità, dalla quale si accede alle Catacombe di San Gaudioso. La riconosciamo subito percorrendo il Ponte della Santità, grazie alla sua cupola maiolicata colorata in giallo e in verde.

L’ossario delle Fontanelle era una delle cave da cui si estraeva il tufo per edificare la città di Napoli, usate fino al XVII secolo. Qualche anno dopo, però, la cavità delle Fontanelle servì per ospitare i resti di delle vittime delle epidemie di peste (1656) e di colera (1836), oltre a quelli provenienti dalle chiese.
Il cimitero delle Fontanelle è noto soprattutto per il culto delle anime pezzentelle che prevedeva l’adozione e la cura di teschi abbandonati in cambio di grazie. Una volta scelto il teschio da adottare, lo si puliva e si poneva in una teca di marmo o, per chi non poteva permetterselo, una scatola. L’anima del teschio prescelto e la persona che l’aveva adottato comunicavano attraverso il sogno: il defunto chiedeva preghiere, elargendo in cambio grazie o numeri da giocare al lotto.

Photo By Silvio Gaudenti (Flickr: Palazzo dello Spagnuolo (2)) [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], via Wikimedia Commons

Il Palazzo dello Spagnuolo è uno dei principali esempi di barocco napoletano, costruito nel 1738 su progetto dell’architetto Ferdinando Sanfelice, per volere del marchese Nicola Moscati. Di grande impatto visivo è la scala monumentale ad ali di falco e la scelta cromatica del giallo e verde. Per la sensazione di terrificante leggerezza che trasmetteva con i suoi progetti divenuti esempio del barocco, Ferdinando Sanfelice era detto “Lievat’ ‘a sott’”, ovvero “Togliti da sotto”.


Vi abbiamo accompagnato in quello che Totò definiva il “rione più famoso di Napoli”, il Rione Sanità. Un luogo in cui si incontrano non solo le culture del passato greco romano della città con il barocco, ma anche il desiderio di migliaia di ragazzi che provano a vivere in un mondo diverso, uscendo dal cliché del rione in cui la camorra ha potuto prosperare.