Il Centro Studi Confronti ha pubblicato uno studio, commissionato dalla Fai-Cisl, intitolato Made in Immigritaly. Terre, colture, culture. Il documento racconta e analizza la quantità di lavoratori con background migratorio nel settore agricolo italiano, un fenomeno poco raccontato (senz’altro non nel dettaglio) ma che risulta estremamente significativo.
Claudio Paravati, direttore del Centro Studi Confronti, ci racconta che circa un lavoratore su tre, in questo ambito, è nato in un altro paese o ha genitori stranieri. Ma non si tratta soltanto di storie di sfruttamento e discriminazione, sebbene quelle situazioni esistano e siano esposte con attenzione nel documento. Ci sono anche tanti esempi di integrazione virtuosa, e sempre più spesso gli agricoltori con background migratorio stanno aprendo le proprie attività autonome.
Paravati fa notare, però, che spesso questi esempi virtuosi di integrazione non sono frutto di politiche mirate: emergono invece da sé. Questo conferma il contenuto di un precedente studio curato da Confronti, che raccontava come di integrazione in termini di politiche e progetti si parli sempre meno.
Made in Immigritaly è stato presentato mercoledì 10 aprile al CNEL, alla presenza, tra gli altri, di ministri del governo che hanno spesso invocato la difesa feroce della sovranità alimentare italiana, arrivando anche a vietare determinati prodotti per difendere il settore nostrano. Il rapporto mette in luce uno dei grandi controsensi di questa ideologia politica: molto del cibo italiano è prodotto e grazie alle mani di cittadini che, agli occhi di quello stesso governo, non sono davvero italiani.
Qui puoi ascoltare l’intervista che abbiamo realizzato appena prima dell’incontro: