Dall’inizio della guerra in Siria, cinque anni fa, e soprattutto dall’espansione del conflitto e del gruppo Stato islamico in Iraq, a partire dal 2014, un territorio che sembrava sepolto nella storia antica e nelle pagine della Bibbia è tornato a far parlare di sé: si tratta della Piana di Ninive, o Nīnawā, nell’omonimo Governatorato.
Nelle cronache dei giornali si è raccontato nei mesi scorsi dell’esodo di intere popolazioni, come la minoranza yazida o quella cristiana, oppure delle tragiche condizioni della popolazione di Mosul, capitale della regione, e nelle ultime settimane capita spesso di leggere delle minacce portate alla popolazione civile dalle precarie condizioni della diga di Mosul.

Eppure, non tutto in questo luogo si può spiegare con la storia antica e con le emergenze, perché esiste un mondo fatto di quotidianità, e anche di politica civile, che va ben oltre. Proprio per raccontare l’esistenza di forme di risposta non armata all’occupazione, la scorsa settimana l’associazione Un Ponte Per…, attiva dagli anni ’90 in Iraq, ha organizzato a Roma una tre giorni dedicata a questo tema e al progetto Niniveh Paths, dedicato alla resistenza civile e alle prospettive per il ritorno di profughi e sfollati al termine della guerra.

La piana di Ninive è un luogo nel quale sono passate molte culture, più che in ogni altro luogo dell’Iraq, e tutte hanno lasciato un loro contributo. Anche questo probabilmente permette di avere una società più sfaccettata di quello che viene spesso raccontato, e tra chi vive ancora in quel territorio e non l’ha abbandonato forzatamente, l’idea che sia possibile cercare vie diverse da quella armata per riuscire a liberarsi è ancora forte.

Ascolta le intervista

Martina Pignatti Morano, presidente di Un Ponte Per…

Ismaeel Dawood, cooperante iracheno e policy officer di Un ponte per…

Kai Brand Jacobsen, Director of the Department of Peace Operations (PATRIR)

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