Quando si attraversano le porte di Casa Vidas, la struttura aperta nel 2006 a Milano dall’associazione che porta lo stesso nome, si rimane stupiti: se si pensa alla missione di Vidas, ovvero assistere i malati terminali nell’ultima fase della loro vita, ci si immagina un luogo in cui la morte gioca un ruolo fondamentale, uno spazio in cui si respira lutto e prostrazione, anche perché nel nostro Paese la morte è spesso un tabù, un rimosso che viene confinato il più possibile in spazi chiusi, destinati ad assorbire tutto il “non detto” e il “non vissuto” dell’esperienza del fine vita.

Invece, Casa Vidas è un luogo pieno di vita, in cui si respirano storie di ieri e di oggi unite in due parole: cura e dignità.

Siamo in zona Bonola, nel nord ovest di Milano, un’area periferica della città che con la sua architettura fatta di grandi condomini, viali ampi e freddi e un imponente centro commerciale nel mezzo sembra essere una sintesi dell’idea un po’ stereotipata della solitudine che si vive nelle grandi città, soprattutto quando il proprio ruolo diventa più marginale. La presenza di Casa Vidas proprio qui sembra in qualche modo un tentativo di restituire anche a un’area come questa una dimensione comunitaria che sembra smarrita.

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