All’inizio del 2023 il governo italiano ha varato un decreto che punta a limitare ulteriormente le attività di salvataggio di persone nel Mediterraneo da parte delle ONG attive nella zona, imponendo anche multe salate in caso di inadempienza. La misura ha causato le reazioni contrarie delle organizzazioni umanitarie e anche dell’Unione Europea, perché è in contrasto con le norme internazionali, oltre a mettere le vite dei migranti in ulteriore pericolo.
Poiché proprio in queste settimane si è tenuta la prima missione di salvataggio di Emergency, con la sua nave Life Support, abbiamo raggiunto il vicepresidente Alessandro Bertani per un’intervista.
L’idea di avviare una propria nave, ci racconta, arriva dal vuoto istituzionale a livello sia italiano che europeo in materia. Nello scorso decennio alcuni terribili naufragi avevano portato a missioni statali come Mare Nostrum, che però nel frattempo è stata smantellata (“le coscienze si sono raffreddate”) e anzi, da allora diversi governi hanno cercato di limitare anche il lavoro delle ONG che avevano iniziato ad operare per sopperire alla mancanza di intervento pubblico, che Bertani reputa gravissima. Una mancanza, ribadisce, non solo italiana, ma europea.
I volontari di Emergency in questi anni hanno lavorato spesso su navi gestite da altre organizzazioni, fino a maturare l’idea di operare un mezzo proprio: la Life Support. La prima missione, a dicembre, ha visto il salvataggio di 142 persone.
Ora però il nuovo decreto ostacola questo tipo di interventi: causerà più morti, si legge proprio sul sito di Emergency. Il testo, secondo Bertani, ribadisce in alcuni casi l’ovvio, sebbene in maniera ambigua, e in altri casi stabilisce elementi in contrasto con la normativa internazionale. Ostacola in sostanza la possibilità di salvare persone in mare e costringe le ONG a dover avviare dei contenziosi che distraggono i fondi che i donatori danno all’organizzazione affinché salvi vite; ora invece si dovrà spendere anche per andare in tribunale. Una cosa profondamente sbagliata, dice Bertani.
Uno dei nodi più discussi del decreto è quello che impone alle navi di dirigersi nel porto assegnato senza effettuare ulteriori salvataggi nel corso del viaggio. Il porto assegnato, peraltro, dovrebbe essere vicino: lo stabiliscono sia le norme internazionali che il buon senso, perché un lungo viaggio, anche se su una nave solida, può causare un grande rischio per persone spesso debilitate o malate (in questi giorni due navi si sono dovute dirigere al porto di Ancona, nonostante la richiesta di uno scalo più vicino). Al di là di questo punto, molto spesso le ONG hanno effettuato più di un’operazione di salvataggio, prima di recarsi al porto. Anche in questo caso, si tratta di seguire (oltre alla propria coscienza) la legge internazionale: nessuna norma di diritto nazionale, ricorda Bertani, può impedire al comandante di una nave di effettuare nuovi soccorsi se nell’ambito della sua navigazione si imbatte in un’imbarcazione che ha bisogno di soccorso. Il testo del governo punta a rendere illegittima questa pratica.
Questo decreto, conclude allora Bertani, serve soltanto a creare contenziosi. Ma salvare le vite non può essere un’attività illegittima.