Il 17 gennaio 2025 è uscito il quarto album della cantautrice, un disco che sarà al centro dell’imminente tour che toccherà Torino il 3 aprile e il giorno dopo Biella
Abbiamo incontrato Marianne Mirage pochi giorni dopo l’uscita di Teatro, quarto album della cantautrice che si è raccontata in diretta a Café Bleu.
Marianne, com’è nato Teatro? Quando hai capito che era giunto il tempo per un nuovo album?
“È stato un lavoro che mi ha portato via molto tempo. Mi sono presa tre anni per scrivere questo disco, dentro ci ho messo tanto bisogno di raccontarmi con i testi. C’è una cura particolare dei temi delle canzoni. Ad esempio Venere parla di empatia, anche se l’ho scritta anni fa il tempo è sempre attuale. Abbiamo sempre più bisogno di empatia. Penso che la musica abbia l’importante compito di tenerci empaticamente vivi. Il disco nasce da questo mio bisogno”.
A proposito di tempo, qual è il tempo delle tue canzoni e del tuo lavoro più in generale?
“Oltre a Venere avevo tante altre canzoni nel cassetto, ad esempio Chiudo gli occhi. Un giorno ero in studio con il produttore Marquis, ci siamo resi conto che questi brani potevano essere raccolti in un nuovo album. Mentre stavo lavorando alla colonna sonora del film I leoni di Sicilia pensavo già al nuovo disco. Credo che il mestiere dell’artista non abbia un tempo. Le canzoni c’erano, aspettavano solo di entrare in un disco, partendo da questa consapevolezza ho capito che sarebbe nato l’album Teatro”.
Per noi, in questo programma Café Bleu, quello del musicista è un mestiere artigiano. Come poni la forma canzone, l’unione tra musica e parole, nel tempo in cui viviamo, il 2025? Secondo te c’è possiamo ancora prenderci del tempo per l’ascolto?
“Il titolo Teatro nasce dalla volontà di far prendere del tempo alle persone. Il teatro ti costringe a stare seduto su una poltrona, paghi un biglietto per poter essere seduto lì. Poi si crea un silenzio e un vuoto che riempie l’anima. Vorrei che le canzoni di questo disco vengano ascoltate con il tempo necessario. Oggi la fruizione della musica è martoriata, il mondo discografico italiano in particolare è lacerato da un ascolto passivo della musica. Ne è un esempio lo stesso Festival di Sanremo dove la musica è passiva rispetto all’immagine. Sappiamo che il mercato attuale rende tutto sterile. Per me fare musica vuol dire resistere alle regole del mercato in modo estremamente personale e onirico. Questo è il vero mestiere del musicista, dell’artigiano come lo chiami tu”.
Il titolo Teatro evoca la scena, la rappresentazione sul palco di quello che siamo. Mettere tutte queste sensazioni su un palco o in un disco, che sensazioni ti dà dopo quattro album?
“Mi dà una sensazione bellissima. Viviamo in un mondo dove dobbiamo essere in scena, penso ai social. Essere performanti su una scena ci viene sempre chiesto. Per questo disco ho deciso di portare l’idea del teatro privo della sua immagine proponendone solo il suo contenuto. Siamo sempre troppo legati alla forma, dovremmo legarci più al contenuto. Questo disco prende corpo nei live salendo sul palco, lasciando che la musica sia protagonista. Io suonerò la chitarra, alcune canzoni saranno interpretate solo da me, altre con la band per far risuonare tutta la potenza del suono, anche delle tastiere analogiche”.
Il tour Teatro di Marianne Mirage parte il 23 marzo dal Teatro Garbatella di Roma. Dopo le tappe in Emilia Romagna a Cesena e Bologna, il 3 aprile è in programma il concerto torinese allo Spazio 211, mentre il giorno dopo ci sarà l’esibizione al Circolo Sociale Biellese.
Nel dialogo con Marianne Mirage disponibile nel podcast su Spreaker e su Spotify è emersa una domanda tra le altre. Cosa vuol dire scrivere canzoni, che significato ha per Marianne Mirage?
“Per me la canzone è semplicemente questo: si prende la chitarra e si scrive. Un po’ come una volta, alla Bob Dylan o Joan Baez. Questi personaggi vivevano il mondo, la chitarra e la penna diventavano armi per difendersi, per supportare e sopportare il tempo. Vedo così la musica e la forma canzone”.