“Io ero come lui, un ragazzo poco più che ventenne che si arrabbia di fronte alle ingiustizie, che si chiede perché in un Paese in cui esistono alberghi sfavillanti ci sia gente che fatica a racimolare un pasto a fine giornata. M, a differenza di Mohamed, invece di affrontare le difficoltà io le ho evitate. Non mi sono ribellato al potere, non ho manifestato contro la dittatura, non ho sfidato le minacce dei poliziotti corrotti, non ho provato a cambiare il mio Paese. Io, che sono un maestro di scuola chiamato a offrire ai miei allievi un esempio, ho scelto la fuga”.

Sono parole di Habib Omri, contenute nel libro del 2012 “La rabbia e la speranza”. Il libro racconta la storia di Mohamed Bouazizi, il giovane tunisino che ha dato inizio alla primavera araba del 2011 dandosi fuoco nel suo paese natale, Sidi Bouzid. Bouazizi, venditore ambulante di frutta e verdura, è un simbolo di quel capitolo della nostra storia recente, bollata dalla stampa occidentale come “primavera araba”. Il ricordo di Omri, che è originario della stessa cittadina di Bouazizi, ci sembra una forte testimonianza che può aiutare a introdurre e leggere con la consapevolezza del recente passato anche l’attualità internazionale.

Accendiamo i riflettori su cinque Paesi accumunati da un tratto comune, Iran, Iraq, Libano, Sudan, Algeria, cinque Stati che sono in queste settimane teatro di proteste e manifestazioni di piazza molto partecipate, un fenomeno di grande rilievo che ha fatto pensare a un ciclo di “nuove primavere”.

Luca Attanasio e Marzia Coronati ne hanno parlato con un analista esperto in Medio Oriente, Francesco Petronella e con il corrispondente dal Libano Michele Zanzucchi. Partendo proprio dal capire se di primavere si poteva parlare nel 2011 e si può parlare oggi nel 2019.

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