Se apriamo un dizionario aggiornato scopriamo che i nomi professionali al femminile sono censiti come le forme maschili. Perché la cacofonia (ministra suona male) o il “si è sempre detto così” non si possono coniugare a una realtà così mutevole come la lingua?

La questione dei nomi professionali al femminile (almeno per un po’). Ne abbiamo parlato a Café Bleu con
Vera Gheno, sociolinguista e docente all’Università di Firenze.

«Dal punto di vista linguistico i femminili professionali sono perfettamente corretti e andrebbero usati. Linguisticamente non c’è differenza tra maestra e ministra o tra infermiera e ingegnera. Ai primi siamo abituati e abituate, ai secondi no. Se apriamo un dizionario sufficientemente aggiornato possiamo scoprire che tutti questi femminili sono censiti come le forme professionali maschili. Nel caso direttrice/direttore d’orchestra, abbiamo a che fare con quei nomi professionali che denotano una differenza di percezione tra maschile e femminile. Per qualcuno o qualcuna il maschile può suonare “altolocato” perché fa riferimento a ruoli sociali di rilievo, anche se direttrice di un istituto scolastico senza dubbio non è peggio di una direttrice d’orchestra. Quindi sono assolutamente a favore dell’uso dei femminili, anche se non credo nell’uso delle imposizioni. Se vuoi farti chiamare al maschile, bene, ma non lo giustificare con motivazioni che non hanno nulla di scientifico».

Vera Gheno ha continuato così il suo ragionamento: «L’inclusione deve tener conto del linguaggio quotidiano e comune. Fare attenzione alle parole che usiamo è il modo più immediato per mettere in pratica la convivenza delle differenze. Le parole sono importanti, perché è vero che non cambiano la realtà ma sicuramente contribuiscono a farci vedere meglio delle cose. Quando citiamo delle professioni in maniera precisa possiamo parlarne con più attenzione. Ecco perché nominare al femminile le donne che lavorano sarebbe importante perché normalizzerebbe la loro presenza. Allo stesso modo di sarto o sarta, cassiere o cassiera. Per questo motivo dovremmo dire questore e questora o assessore e assessora. Possiamo comprendere che una parola possa “suonare” male all’orecchio, ma nella nostra quotidianità usiamo le parole che ci servono, non quelle che suonano bene».

La questione dei nomi professionali al femminile nell’intervista a Vera Gheno in onda a Café Bleu. Ascolta l’intervista

Vera Gheno, foto di Francesco Sciolti