Qualche settimana fa il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha comunicato l’intenzione di riformare l’accesso all’albo della professione, rendendo ulteriormente laborioso il percorso da seguire.
Ci ragioniamo assieme a Leila Belhadj Mohamed, editor freelance, autrice di vari podcast e consulente, che già prima di questa proposta sottolineava le grandi falle che secondo lei caratterizzano l’istituto dell’Ordine dei Giornalisti.
Innanzitutto, si tratta di una struttura che non esiste all’estero: per essere ad esempio considerati giornalisti nel Regno Unito, ci racconta, è sufficiente praticare l’attività di giornalista, senza la necessità di mostrare un tesserino: il percorso è quindi molto più facile, almeno da questo punto di vista.
Ora come ora, quindi, in Italia la strada è più complessa, e lo è ancora di più per le categorie già cronicamente svantaggiate, come le come le persone razzializzate o le donne, che hanno meno possibilità di poter adempiere tutte le richieste. Basti pensare alla necessità di aver lavorato, con regolare e continuata retribuzione, per almeno due anni prima di presentare la domanda.
La nuova proposta è quella di richiedere ulteriori requisiti rispetto a quelli attuali: almeno una laurea di primo livello per lavorare come giornalista pubblicista (ovvero chi non pratica questo lavoro come unica occupazione) e di un percorso universitario specifico per chi invece vuole qualificarsi come giornalista professionista.
A farne le spese, commenta Belhadj Mohamed, non sono solo gli aspiranti giornalisti, ma anche il pubblico, che fruisce di un’informazione poco diversificata, prodotta da persone che sempre più si assomigliano fra loro (uomini, bianchi, di una certa età).
Puoi ascoltare qui l’intervista completa: