In risposta all’aggressione russa in Ucraina l’Unione Europea ha deciso di tagliare le forniture di gas dalla Russia, da cui alcuni paesi, come l’Italia, dipendono per molta della propria produzione di energia.
La strategia del governo Draghi prima e di quello di Meloni dopo non è stata quella di approfittarne per spingere in modo definitivo sullo sviluppo delle rinnovabili, bensì quella di trovare forniture alternative di gas, un combustibile fossile che contribuisce al cambiamento climatico.
Molto di questo “nuovo” gas deve viaggiare per mare, perciò deve essere liquefatto alla fonte e quindi ritrasformato in gas una volta arrivato a destinazione. A questo servono i rigassificatori, ovvero grandi navi che restano attraccate in porto per svolgere questo lavoro. Uno dei porti scelti dal governo è quello di Vado Ligure, nei pressi di Savona, dove da qualche mese si è però attivato un movimento di contestazione, che prende il via da un gruppo su Facebook. Ne abbiamo parlato con una delle attiviste coinvolte, Monica Giovannini.
Le preoccupazioni, ci spiega, sono tante: oltre all’impatto climatico, si teme anche l’inquinamento diretto sul mare e sulla costa savonesi, per via dell’ammoniaca usata per il processo di rigassificazione; si teme anche l’impatto sul turismo, visto che si tratterebbe di una grande imbarcazione presente costantemente all’orizzonte. La risposta delle istituzioni al momento è stata tiepida e per ora il progetto rimane attivo; anche il governatore Toti è stato contestato. Giovannini è però soddisfatta del seguito che la protesta sta generando e dell’appoggio di alcuni alleati preziosi, come l’associazione ReCommon; in questi giorni è anche stata presentata una serie di osservazioni da parte dei Vigili del Fuoco, che chiedono chiarimenti sulla sicurezza del progetto.
Puoi ascoltare qui l’intervista: