Un’indagine di Greenpeace Italia in collaborazione con Report ha monitorato i percorsi dei capi di abbigliamento acquistati online e restituiti dopo l’acquisto, i cosiddetti resi, un servizio spesso offerto gratuitamente dalle piattaforme che si occupano di abbigliamento.
Tramite l’uso di gps sono stati tracciati alcuni pacchi, e si è scoperto che in molti casi questi vengano spostati di paese in paese, senza una logica apparente, macinando chilometri e producendo abnormi volumi di gas serra. Il tutto, a volte, a vuoto: alcuni di questi capi non sono mai stati rimessi in vendita.
Ne parliamo con Giuseppe Ungherese, che sottolinea così i numerosi impatti ambientali della fast fashion: già prima dell’ingresso del commercio online si trattava di un modo tossico di commerciare capi di abbigliamento, puntando molto sulla quantità e generando indirettamente immense quantità di spazzatura; negli ultimi anni la situazione è ulteriormente esplosa, aggiungendo inoltre gli infiniti chilometri percorsi avanti e indietro dai nostri abiti.
Ma ci racconta anche dei primi passi che alcuni legislatori, come l’Unione Europea, stanno cominciando a fare per regolare il settore.