Nella venticinquesima puntata di Kiosk ci muoviamo nello spazio post-sovietico parlando di conflitti. Lo facciamo su diversi livelli: quello delle relazioni internazionali e della grande politica, quello delle vite quotidiane delle popolazioni che vi sono coinvolte, e quello più ideologico, legato a questioni come quelle della memoria e della storia.

Iniziamo con la testimonianza di Dmitrij Strocev, poeta e critico letterario bielorusso, che ci racconta cosa sta succedendo in questi giorni a Kuropaty, una località boschiva nei pressi di Minsk: si tratta di uno dei più importanti “luoghi della memoria” delle repressioni staliniane nel Paese. Una memoria controversa che si trova oggi minacciata dalle autorità bielorusse: per ordine dello stesso presidente Lukašenko, queste hanno dato inizio alla demolizione delle croci erette a Kuropaty. Qual è il significato di questo luogo per i bielorussi, e come sta reagendo la popolazione a questa demolizione apparentemente insensata?

Ci spostiamo poi in un territorio di cui si parla molto poco non solo in Italia, ma anche a livello internazionale, e la cui indipendenza non è riconosciuta da nessuno Stato al mondo: il Nagorno-Karabakh, una piccola regione che da oltre 25 anni è al centro di un conflitto che vede coinvolti l’Armenia e l’Azerbaigian. Un conflitto erroneamente definito “congelato”, poiché la situazione sul fronte è tutt’altro che stabile: proprio tre anni fa, nell’aprile 2016, si era consumata la più grande escalation di violenza dalla firma del cessate il fuoco nel 1994. L’avvento di Nikol Pashinyan al potere in Armenia lo scorso maggio è stato descritto da alcuni analisti come un segnale potenzialmente positivo per la risoluzione del conflitto nel Karabakh: fino a che punto queste aspettative sono realistiche? L’abbiamo chiesto ad Aldo Ferrari, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore del programma di ricerca su Russia, Caucaso e Asia Centrale presso ISPI.

Continuiamo a parlare di Nagorno Karabakh da una prospettiva diversa, spostando l’attenzione su una conseguenza meno visibile, ma più radicata e pericolosa, della conflitto: la presenza di mine antipersona e altri ordigni inesplosi, che da oltre 25 anni contribuiscono al mantenimento di una situazione di insicurezza e generano continuamente nuove vittime e nuova povertà. Paradossalmente, il problema delle mine antipersona è anche in grado di generare nuove sfide per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione economica delle donne, che stanno sempre più spesso abbracciando la professione di sminatrici, nonostante i rischi per la propria vita e lo stigma sociale che questo comporta.

Concludiamo la puntata spostandoci in Russia, dove da tempo è in corso una guerra legislativa e tecnologica per il controllo di Internet: lo scorso 7 marzo la Duma di Stato russa ha approvato due proposte di legge “contro le fake news” e “sugli insulti online”, che segnano un ulteriore giro di vite governativo sul Runet – il web russo. Nel frattempo, da alcune settimane si discute anche della possibilità di isolare la rete russa sul modello del Grande firewall cinese: le proteste contro questi progetti hanno infiammato Mosca. Abbiamo fatto il punto della situazione insieme a Martina Napolitano, redattrice di EJ.

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