I buchi neri sono tra gli oggetti più affascinanti dell’universo. Nel 2019 i ricercatori dell’Eht hanno annunciato la prima prova visiva diretta mai ottenuta di un buco nero supermassiccio nella galassia Messier 87. Quest’anno, ad inizio maggio, in occasione della Black Hole Week (e in attesa della conferenza stampa in cui sono stati annunciati nuovi risultati relativi al centro della Via Lattea, la nostra galassia) la NASA ha diffuso due video nei quali si può ascoltare la traduzione in suoni di dati astronomici relativi a due buchi neri.
Insomma, negli ultimi anni i buchi neri hanno contribuito ad accendere i riflettori del pubblico sulle questioni astronomiche e al contempo sono stati oggetto di numerosi studi da parte della comunità scientifica.
A metà aprile un team internazionale cui partecipano due ricercatrici italiane (Rosa Valiante dell’INAF e Raffaella Schneider dell’Università La Sapienza di Roma) ha rilevato il precursore di un buco nero supermassiccio analizzando i dati di archivio del telescopio spaziale Hubble.
Si chiama GNz7q, ed è un oggetto spaziale scoperto a circa 13 miliardi di anni luce dalla Terra che sembra essere un buco nero in fase di accrescimento in una fase relativamente giovane dell’universo, circa 750 milioni di anni dopo il Big Bang. Una sorta di anello mancante per comprendere l’origine dei quasar nell’universo primordiale.
L’intervista a Raffaella Schneider, coautrice dell’articolo pubblicato su Nature, con cui abbiamo provato a fare alcuni passi indietro raccontando cosa siano i buchi neri, quale sia il valore di questa scoperta e quale importanza abbiano per la ricerca gli archivi del telescopio spaziale Hubble, vere e proprie mappe del tesoro da esplorare.