Come molte città cresciute intorno a un modello industriale, anche Pinerolo vive da circa 20 anni una lenta contrazione della popolazione. Rispetto alle previsioni formulate nel suo piano regolatore, tutt’ora in vigore anche se pesantemente emendato, Pinerolo non solo non ha mai raggiunto i 50.000 abitanti, ma addirittura dal 1995 a oggi è passata da 39.000 a 36.000 residenti. Questa contrazione ha portato con sé una conseguenza evidente, la grande quantità di appartamenti sfitti o in vendita. In parallelo a questo problema, il territorio si è progressivamente impoverito, pagando più di altri il prezzo di un decennio di recessione economica. Per affrontare questo e altri nodi legati al diritto alla casa, il Comune di Pinerolo ha deciso di riavviare le attività della Commissione casa, presieduta dall’assessora alle politiche sociali e sanitarie del Comune di Pinerolo, Lara Pezzano.
Perché il Comune di Pinerolo ha deciso di istituire nuovamente la Commissione casa? È la stessa del passato?
«La Commissione casa esisteva già più di dieci anni fa, ma non è mai stata utilizzata col senso che poteva avere, cioè un momento di confronto e discussione con gli altri attori del territorio, un momento di discussione.
Ora il senso è quello di confrontarci, discutere e condividere scelte che vengono fatte, per esempio sulle assegnazioni, oppure sull’agenzia per la locazione, o ancora per definire e validare i soggetti che presentano domanda per il bando FIMI, il fondo per la morosità incolpevole. Abbiamo ricostruito la Commissione casa proprio per questo, abbiamo stabilito un regolamento e oggi ci si incontra una volta al mese. Le prime volte, per esempio, ci siamo occupati dei criteri per definire la morosità incolpevole e poi sullo stilare una graduatoria oggettiva dell’emergenza abitativa».
Che cosa significa?
«Fino a ieri le persone in emergenza abitativa venivano valutate con dei criteri, ma non veniva dato un punteggio oggettivo. Abbiamo ragionato con la commissione casa per tre mesi su come fare per dare dei punteggi, esattamente come si fa nei bandi, quindi capire quali sono i criteri in caso di sfratto, inagibilità, crollo della casa, perdita del lavoro e così via. Possono esserci mille motivi per cui uno si trova senza la casa, per cui abbiamo definito i criteri insieme alle varie associazioni e insieme ai rappresentanti delle varie minoranze. Abbiamo preso tutte le persone che erano assegnate in emergenza abitativa, che era un elenco senza alcun ordine, e abbiamo provato a costruire una graduatoria in base ai parametri oggettivi. È un cambiamento epocale nella gestione dell’emergenza abitativa. Ovviamente, a parità di punteggio ci saranno dei criteri più discrezionali e legati alla composizione, ma se arriva un alloggio e ci sono situazioni di parità di punteggio, allora conteranno parametri come la data di presentazione della domanda».
In tempi di mancanza di lavoro, il sistema delle case popolari riesce a far fronte alle necessità?
«Le case popolari non sono nate per far fronte alla persona in crisi, all’immigrato che è arrivato, che vive qua e che ha perso il posto di lavoro e non ha più un posto per dormire, o al senzatetto. Sono nate per far fronte a una classe media o medio-bassa che si garantiva la possibilità di avere una casa per tutta la vita. Sono nate per la classica famiglia che diceva “non mi posso permettere di comprare un alloggio perché non ho il capitale da anticipare, quindi pago un affitto basso per 20 anni, 30 anni, fino alla fine della mia vita, ma so che non sarò sottoposto alle lune del proprietario che magari un giorno vende tutto e mi sfratta”: nelle case popolari il diritto all’abitazione viene garantito a patto che si paghi l’affitto, oltretutto molto calmierato. La casa popolare nasce per questo».
Come funziona?
«Per avere il diritto di accedere agli alloggi di edilizia popolare si partecipa a un bando, che viene rinnovato normalmente ogni quattro anni. Basta un ISEE pari a 20.000 o 26.000 mila euro e si entra in graduatoria. Quando tocca a te, anche se non sei sotto sfratto, non sei in emergenza, magari paghi già un affitto altrove, vai a vedere l’alloggio, così riesci ad avere per tutta la tua vita un affitto in base al tuo reddito. Infatti, l’affitto nella casa di edilizia residenziale popolare si paga attraverso una formula che mette a confronto i metri quadri dell’alloggio con il reddito del beneficiario».
Come si integra questo modello con quello dell’emergenza?
«Accanto a chi è in graduatoria ci sono tutti coloro che sono in una situazione di precarietà o criticità legate a uno sfratto, all’inagibilità della casa o ad altre cause. Possono esserci problemi che partono dalla perdita del lavoro, oppure dalla morosità da lungo termine, o magari dal fatto che l’impianto della casa non è più agibile e quindi si è obbligati a lasciare l’abitazione. A quel punto la persona viene all’ufficio casa e può richiedere una soluzione tampone. Gli alloggi resi disponibili per edilizia residenziale popolare a quel punto vengono assegnati in parte via bando e in parte per l’emergenza abitativa, in una proporzione che la Regione chiede sia paritaria. Quindi se arrivano venti alloggi in un anno, dieci li do a persone in graduatorie e dieci a chi è in una situazione di emergenza abitativa».
E oltre alle proporzioni, anche il trattamento è paritario?
«Qui serve una premessa: oltre alla questione delle graduatorie o dell’emergenza esiste anche un discorso di caratteristiche abitative. Se arriva un monolocale e ho tre figli, questo alloggio non mi verrà mai assegnato, nemmeno se sono per strada, perché la Regione attraverso Atc non ci permette di assegnarlo.
A parte questo, se sono in graduatoria e arriva un appartamento adatto alle mie caratteristiche, adatto come metratura, ma non mi piace, allora posso rifiutarlo e aspettare che ne arrivi un altro. Se invece sono in emergenza abitativa, nel momento in cui vengo chiamata per vederlo sono obbligata ad accettarlo, perché in caso contrario si esce dalla graduatoria e non si può più essere assegnatari di alloggi».
Al netto di queste differenze, qual è la tendenza relativa all’emergenza abitativa? Si tratta di una questione che per Pinerolo tende a peggiorare o a migliorare?
«Visto che quest’anno siamo riusciti ad assegnare gli alloggi per un 70% attraverso bando e soltanto per un 30% per emergenza, possiamo dire che è andata meglio, mentre gli altri anni veniva assegnato all’opposto, si rischiava di sforare il 50% sull’emergenza creando dei problemi anche in relazione alle direttive della Regione. Credo che questo sia anche legato al sistema di gestione con cui si cerca di bloccare lo sfratto, quindi di prevenire l’emergenza.
Ci sono però almeno due problemi che non permettono di rispondere con certezza, uno legato all’accoglienza e l’altro legato al lavoro. Se non si riprende il lavoro non si risolvono le emergenze abitative: la casa è solo il classico sintomo dell’assenza di lavoro».
A cosa si riferisce invece quando parla dell’accoglienza?
«Questo è il punto più altalenante, qui c’è da aspettarsi un po’ di tutto. Se mi chiudono i dormitori, o se i progetti di accoglienza Sprar e Cas non portano alla fine a delle forme di autonomia, nel prossimo futuro avremo una serie di persone sul territorio che non si possono gestire autonomamente dal punto di vista economico. Questo è un grosso problema, perché finché sono dentro a uno Sprar bene o male qualcuno paga, ma quando finiscono questa garanzia viene meno. Insieme ai servizi sociali stiamo cercando di capire cosa fare dopo lo Sprar. In questo momento siamo in una situazione stabile ma critica, quindi servirebbero più posti. Da un punto di vista politico e sociale, il problema del dopo-Sprar è molto serio e non viene preso in considerazione in questo momento, perché con le elezioni politiche da qui a poco non si può affrontare».
Un campo su cui un’amministrazione comunale ha molta meno voce in capitolo è quello degli affitti privati in una città come Pinerolo in cui sono molti gli alloggi sfitti. Esiste qualche strumento a disposizione della politica?
«Ce n’è uno in particolare su cui si sta lavorando, cioè gli accordi territoriali, nel senso che se il proprietario applica l’affitto secondo gli accordi territoriali ha una riduzione importante sull’Imu e sulla cedolare secca. Si cerca di spingere su questo tasto e questo lavoro viene fatto molto bene grazie anche al Comitato Rete Casa, un’associazione di volontari che si occupa di fare da intermediario tra il proprietario privato e chi è in difficoltà, ma che deve comunque avere una garanzia minima, una busta paga o una dichiarazione dei redditi.
Quello su cui puntiamo è riaprire l’Agenzia per la locazione: quello potrebbe aiutare a trattare con i privati perché prevede dei fondi per loro. Se io, proprietario privato, affitto l’alloggio e quindi accetto la sfida di affittare in una condizione di precarietà, con affitto calmierato, ricevo già subito un premio di 1.000-1.500 euro, poi ho una garanzia anche in caso di morosità per alcune mensilità. Esistono diverse caratteristiche di agevolazione che derivano dai fondi regionali che possono essere delle opportunità per muovere il mercato privato. Abbiamo scritto in Regione dicendoci interessati e abbiamo e abbiamo ribadito la nostra volontà di essere presi in considerazione nel bilancio 2018».