Il 13 novembre a Roma è stato sgomberato il Baobab, la struttura per l’accoglienza e l’aiuto dei migranti nei pressi della stazione Tiburtina che ospitava più di cento persone. Le forze di polizia sono intervenute con l’impiego di ruspe e hanno smantellato il campo fatto di tende e strutture di cartone e legno. Le persone che vivevano al Baobab hanno dovuto quindi trascorrere la notte in strada, mentre alcuni già in serata hanno fatto ritorno all’insediamento distrutto non avendo altro posto dove andare.

La gestione degli sgomberi ha sempre carattere emergenziale, temporanea, e non si pensa, ad esempio, ad un ricollocamento delle persone che si trovano senza più un’abitazione, per quanto precaria. L’emergenza abitativa a Roma non è però solo limitata ai migranti: sono infatti circa 8000 le persone senzatetto nella Capitale, e ancora si è lontani da una soluzione del problema che non sia temporanea.

Il Ministro dell’Interno Salvini ha intanto promesso altri sgomberi, parlando di un problema di sicurezza. L’iniziativa potrebbe però rientrare in un progetto di ricerca di consenso che fa leva sull’emotività delle persone.

Resta quindi ancora, al venticinquesimo smantellamento del Baobab, un vuoto nella programmazione strategica per la gestione del post-sgombero.

Vincenzo Pira, sociologo e antropologo, vicepresidente della cooperativa Armadilla, che dal 1996, oltre ai progetti in Medio oriente, Africa e America centrale lavora nel XIX Municipio di Roma con il Centro Interculturale Armadillo, altra realtà a rischio di chiusura, racconta che la questione non si chiude con un semplice atto di sgombero, anche perché le persone sgomberate «alla spicciolata già ieri sera ritornavano perché non avevano altro posto in cui andare e questo è il sintomo veramente di una gestione basata solo nell’immediato nell’emergenza e quindi una mancanza di programmazione, una mancanza di visione strategica per risolvere il problema».

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