Ratko Mladic, l’ex comandante delle forze serbe in Bosnia durante il conflitto degli anni Novanta, è stato condannato all’ergastolo dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia. Le accuse per cui è stato giudicato colpevole sono genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, tutti riferiti al suo ruolo nella guerra e in particolare nel genocidio di Srebrenica e nell’assedio di Sarajevo.
Ne parliamo con Alfredo Sasso, collaboratore di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e della rivista East Journal, secondo cui questo processo «aveva un significato particolare, perché Ratko Mladić da generale dell’esercito serbo-bosniaco si è macchiato di alcuni dei crimini più gravi compiuti nelle guerre degli anni Novanta».
La condanna di Mladić, che oggi ha 74 anni e che anche ieri attraverso i suoi avvocati ha ribadito di avere problemi di salute, arriva 12 mesi dopo quella inflitta al suo diretto superiore, il capo politico dei serbo-bosniaci Radovan Karadžić, che nel 2016 è stato condannato a 40 anni di carcere per genocidio.
«Questa sentenza è coerente con quella a Karadžić – spiega Alfredo Sasso – e anche con le sentenze ai danni di altri tre ufficiali dell’esercito serbo-bosniaco, che erano stati anche condannati all’ergastolo. Si è riportata una certa coerenza nella giurisprudenza perché ci sono stati dei momenti in passato dove l’operato del tribunale è stato anche legittimamente oggetto di critiche».
Il riferimento è in particolare al caso delle sentenze su Ante Gotovina, il generato croato responsabile dell’operazione Tempesta ai danni della popolazione civile serba, così come ad altri ufficiali serbi che sono stati assolti. «C’è stata una fase, tra il 2012 e il 2013, in cui il tribunale ha adottato dei criteri particolarmente restrittivi per emettere condanne. Non è però il caso delle più recenti sentenze. Anzi, nel caso di Mladić abbiamo una condanna all’ergastolo rispetto a quella a 40 anni di Karadžić che aveva creato molti malumori a Sarajevo, soprattutto tra le associazioni di vittime e della società civile».