Nel 2011 Eni e Shell acquisivano l’OPL245, uno dei giacimenti petroliferi più grandi al mondo: si stima infatti che possa garantire estrazioni di circa un milione di barili di greggio al giorno almeno per qualche decennio.

Il tribunale di Milano ha ora reso note le motivazioni della condanna di due mediatori, nell’ambito del processo aperto il 5 marzo scorso: dal documento di 320 pagine emerge una forte responsabilità di Eni nel trasferimento di una gigantesca mazzetta da 1,1 miliardi. Eni non poteva non essere a conoscenza del fatto che dietro la società Malabu, che gestiva il giacimento al momento dell’acquisizione della concessione, ci fosse l’allora ministro del Petrolio Dan Etete, ma ha sempre negato questa evidenza.

Nelle motivazioni della sentenza del tribunale di Milano si usano parole forti: non si tratta solo di connivenza, ma di adesione consapevole ad un progetto predatorio ai danni del governo nigeriano. Degli 1.3 miliardi di dollari spesi da Eni e Shell per la concessione, solo 200 milioni sono andati effettivamente allo Stato della Nigeria, mentre il resto del denaro è stato destinato a tangenti e mazzette. Il contratto, inoltre, andava contro gli interessi della Nigeria stessa, con solo il 40% degli incassi destinati al governo: la perdita stimata per lo Stato africano si aggira intorno ai 6 miliardi di dollari, una cifra sicuramente molto consistente considerando la difficile situazione economica.

Forse solo alla fine del 2019 sarà possibile avere una sentenza di primo grado per questa vicenda molto complessa e con molte implicazioni, anche a livello politico.

Ne parla Luca Manes, giornalista e attivista dell’associazione Re:common.

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