Intervista a John Mpaliza

Nei giorni scorsi International Rights Advocates ha portato avanti l’istanza di 14 famiglie della Repubblica Democratica del Congo impegnate nell’estrazione del cobalto.

Si contesta così un fenomeno che prosegue da almeno 20 anni. Circa l’80% della produzione mondiale di coltan (fondamentale per l’industria elettronica) avviene in Congo, troppo spesso in condizioni disumane.

La questione del cobalto non è nuova, se ne sente parlare da quando si è iniziata a capire la sua importanza per l’elettronica e da quando sono emersi i primi dati sulle condizioni della sua produzione. Nel 2016 Amnesty International ha pubblicato un report in cui si confermava che almeno 40.000 bambini lavoravano nell’estrazione del cobalto a mani nude, rischiando la vita nei tunnel.

C’è quindi un diretto collegamento con il lavoro minorile: alcune aziende stendono rapporti in cui si sostiene che vengono rispettati diritti e ambiente. Eppure, alcune evidenze mostrano l’opposto.

L’Unione Europea è arrivata ad un regolamento della filiera di questi materiali, che entrerà in vigore nel 2022. Dal regolamento è stato però escluso il cobalto: la speranza è che dopo l’entrata in vigore della legge si torni a parlare dell’intera filiera, senza esclusione di materiali.

Lo scenario migliore vedrebbe un governo congolese forte e con veri poteri, che dia regole alle multinazionali.

Ne parla John Mpaliza, attivista per la pace in Repubblica Democratica del Congo.

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