Dopo mesi di negoziati, nel mese di giugno le principali istituzioni dell’Unione europea – Parlamento, Commissione e Consiglio – hanno raggiunto l’accordo finale sulla nuova normativa dedicata all’importazione di minerali dai paesi extra–Ue.
A prima vista potrebbe sembrare una decisione da tecnici, da addetti ai lavori, ma dietro ogni minerale estratto, soprattutto in Africa, ci sono storie che abbracciano la politica, le guerre e le vite di milioni di persone. Tra gli obiettivi della nuova legge vi era in origine la volontà di far entrare in Europa soltanto «minerali estratti – così si leggeva nella proposta di legge del Parlamento europeo del 20 maggio 2015 – in maniera responsabile e senza alcun legame con conflitti o violazioni dei diritti umani». A distanza di oltre un anno da quella proposta si è giunti a un compromesso, che secondo gran parte delle organizzazioni internazionali che si erano schierate a favore di una normativa più rigida non tiene fede agli obblighi internazionali di protezione dei diritti umani.
L’estrazione di minerali, e in particolare di quelle terre rare che rappresentano il fulcro di gran parte dei dispositivi ad alta tecnologia che portiamo in tasca o nella borsa ogni giorno, è causa da almeno vent’anni di conflitti nel cuore dell’Africa, e soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo.
Perché proprio il Congo? Una leggenda racconta che Dio, mentre stava creando il mondo, si sia inciampato nel Kilimangiaro e il sacco pieno di minerali che aveva sulla testa si sia rovesciato sul Congo. Questo paese è così ricco di minerali preziosi che questa ricchezza nel corso dei decenni è diventata una disgrazia, attirando gli interessi di quasi tutti i paesi occidentali, interessati a imporre il proprio controllo sull’estrazione delle risorse, arrivando persino a supportare i conflitti e a finanziare i guerriglieri per tenere bassi i costi di estrazione. Dalla leggenda alla realtà, infatti, «il paradiso è diventato sempre più un inferno», come racconta John Mpaliza, un ingegnere informatico di 45 anni, nato proprio nella Repubblica democratica del Congo, che da 21 anni vive in Italia. A partire dal 2013 ha lasciato il lavoro ed è diventato “Peace walking man”, un camminatore per la pace.
Secondo Mpaliza, l’accordo «rappresenta un primo passo nella giusta direzione, ma non raggiunge l’obiettivo previsto della legge» proposta dal Parlamento. Secondo numerose organizzazioni, agli investitori e ai consumatori dell’Unione europea non vengono date garanzie sul fatto che le aziende che trattano minerali si comportino in modo responsabile. Si concede fiducia alle società del comparto, sperando che le loro azioni siano etiche, senza però mettere alcun obbligo. Non ci si allontana troppo dal meccanismo degli standardvolontari, introdotto alcuni anni fa, che però non aveva funzionato, visto che sono ancora troppo poche le aziende che adottano misure per controllare che nelle loro catene di approvvigionamento non siano presenti minerali legati a conflitti o a violazioni dei diritti umani. Stando a quanto dichiarato dall’organizzazione internazionale Global Witness, «l’Unione europea sta rapidamente diventando l’anello debole della catena di approvvigionamento di minerali, perché le normative comunitarie sono attualmente inferiori a quelli di altri paesi».