A Ghazni, un luogo strategico lungo la strada che collega la capitale dell’Afghanistan, Kabul, e Kandahar, si combatte una nuova battaglia tra il governo afghano e i talebani, mentre a ottobre si attende una nuova conferenza dei donatori, da cui ci si aspetta sempre meno finanziamenti per lo sviluppo del Paese.
Ma lontano dai luoghi della politica ciò che conta è un dato: l’Afghanistan è in guerra dalla fine del 2001. 17 anni di conflitto significano che chi oggi ha 20 anni non ha mai visto altro che un Paese in guerra. «Rimane veramente poco», racconta Christian Elia, direttore di Qcode Magazine che segue sin dagli inizi il conflitto afghano e che ha realizzato insieme a Emergency il documentario Storia di una pallottola. Oggi in Afghanistan, spiega Elia, «puoi essere in qualche modo parte della macchina della guerra, e quindi lavorare per il governo per uno stipendio da fame rischiando la pelle, oppure stai coi talebani, che ti obbligano a stare con loro se stai in una certa zona, oppure entri in questi meccanismi della macchina che si è nutrita degli aiuti internazionali per anni, oggi sempre meno ricca».
In questo desolante contesto non va dimenticato che dal 2016 l’Afghanistan è diventato luogo di rimpatri forzati in quanto considerato Paese terzo sicuro, una bugia tanto più evidente quanto più ci si avvicina al terreno.