Il Mediterraneo centrale è sempre più vuoto. Le crescenti difficoltà nel lasciare le coste libiche e la chiusura dei porti da parte del governo italiano hanno contribuito a rendere sempre più complessi e pericolosi i viaggi che costituiscono l’ultima parte del percorso migratorio dall’Africa Subsahariana e dal Corno d’Africa. A questo va aggiunto un clima generale di ostilità nei confronti dei salvataggi in mare, che ha portato, una dopo l’altra, le organizzazioni non governative impegnate nel soccorso ai migranti nel Mediterraneo centrale a lasciare la zona di ricerca e soccorso.
Da giovedì 30 agosto anche Open Arms ha annunciato la propria volontà di spostarsi nell’area tra lo Stretto di Gibilterra e il Mare di Alboràn, sotto il coordinamento del Salvamento Marìtimo, l’equivalente spagnolo della Guardia costiera italiana.
Un passo indietro, dunque? Secondo Riccardo Gatti, capomissione di Proactiva Open Arms, «non ci fermiamo. Continuiamo le nostre operazioni e a livello temporaneo e momentaneo ci spostiamo nel Mediterraneo con l’intenzione di tornare il prima possibile nel Mediterraneo centrale. Tra l’altro abbiamo anche il veliero Astral, che ha sempre operato in operazioni di osservazione e denuncia di ciò che succede nel Mediterraneo Centrale e la nostra intenzione è continuare a utilizzarlo».