Uno dei principali inviti per la prevenzione dei contagi da coronavirus è a mantenere una distanza tra le persone di almeno un metro. Eppure ci sono dei luoghi in cui rispettare questa indicazione è quasi impossibile.
Le condizioni di vita nei CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio) non sono cambiate. Le strutture sono aperte e attive, si mantengono le medesime condizioni di sovrappopolamento già presenti prima dell’epidemia. Per il momento il Governo non ha previsto uno stop ai nuovi ingressi. Contemporaneamente, però, non è stata messa in programma la cessazione delle misure di trattenimento nei CPR, sebbene sia prevista dalla legge e dalle direttive europee.
Nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio sono presenti dei presidi sanitari, anche questi immutati nelle loro forme. Restano ancora alcune lacune, ma la presenza di operatori è solitamente garantita.
È però la rarefazione più generale dei servizi, per i CPR come per i grandi centri di accoglienza, a preoccupare.
Su queste basi, il 13 marzo scorso un gruppo di avvocati e di associazioni, tra cui Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), hanno sottoscritto una lettera rivolta al Ministero dell’Interno. Alla richiesta di misure per il contenimento del rischio non sono giunte, al momento, risposte.
Ne parla Gianfranco Schiavone, giurista e vicepresidente di Asgi.