Dopo giorni di stallo la vicenda della nave SeaWatch 3 ha subito un’accelerata: il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha parlato della disponibilità da parte di cinque Paesi europei per la redistribuzione delle 49 persone a bordo della nave della ong tedesca. Eppure l’Italia non può considerarsi fuori dalla questione.
Il capitano della SeaWatch e alcuni migranti hanno chiesto alla Corte europea dei diritti umani di ordinare in via cautelare al Governo italiano lo sbarco. La Corte non ha fatto ciò che i ricorrenti auspicavano, ma sono state comunque adottate misure a tutela delle persone a bordo: la responsabilità di tutelare i diritti fondamentali dei migranti sulla nave spetta quindi all’Italia, che dovrà provvedere alla loro integrità psico-fisica e alla nomina di tutori per i minori non accompagnati. Si tratta in realtà di campi già previsti dalla legislazione italiana, ma la Corte si riserva di ordinare misure più stringenti nel caso in cui non vengano presi provvedimenti che risolvano la situazione.
Emergono così i limiti istituzionali della Corte europea dei diritti dell’uomo, che proprio per le sue caratteristiche di organo sovranazionale (legittimato dagli Stati e la cui efficacia dipende dall’impegno di questi ultimi di applicare le sue decisioni) deve tenere conto del contesto politico dei Paesi su cui si trova a decidere.
Nel momento in cui manca una vera cooperazione internazionale per costituire una rete di vie d’accesso legali e sicure per i migranti, le migrazioni vengono interpretate come eventi tragici anziché come fenomeni complessi.
Ne parla Cesare Pitea, Docente di diritto internazionale presso l’università di Milano e collaboratore di ASGI.